Piccolo approdo di età romana in località Lido Marini (Ugento)
di Marco Cavalera e Nicola Febbraro
“Sul litorale di Lido Marini dalle viscere della terra sgorgano alcune sorgenti. Al tempo dei Romani la presenza di acqua dolce favorì l’impianto di un piccolo approdo di servizio alle imbarcazioni, che avevano necessità di rifornirsi della preziosa risorsa idrica nel corso della loro navigazione nel mar Mediterraneo”.
Lido Marini, località balneare divisa tra i comuni di Salve e di Ugento, si caratterizza per un tratto di spiaggia, che si alterna tra sabbia finissima e bassa scogliera.
Lungo la costa rocciosa, a sud della marina, dove l’acqua diventa improvvisamente fredda e dolce – per la presenza di alcune sorgenti subacquee – si conservano significativi resti di costruzioni associati ad abbondante materiale ceramico. Si tratta di una struttura muraria parallela alla linea di costa, lunga circa 17 metri, perpendicolarmente alla quale se ne sviluppano altre tre lunghe circa 2 metri.
I resti murari sembra che un tempo definissero una serie di ambienti in seguito intaccati dall’azione erosiva del mare, che ha determinato il continuo arretramento della linea di costa.
I ruderi – conservatisi in alzato per un’altezza di circa 40 cm – sono costituiti da pietre calcaree informi, di piccole e medie dimensioni, poste in opera direttamente sul banco roccioso e da numerosi frammenti ceramici (in prevalenza laterizi), il tutto coeso con malta.
Alle strutture sono connessi depositi archeologici; l’erosione marina, infatti, ha messo in luce alcune sezioni di sedimento terroso ricco di frammenti ceramici.
Poco distante dalle costruzioni si individua un tumulo artificiale, di pietre calcaree informi e terra, eroso anch’esso dall’azione del mare. In sezione è presente un significativo strato di frammenti ceramici che poggia direttamente sul banco roccioso. Molto probabilmente si tratta di una base per il sovrastante allineamento di blocchi e pietre calcaree, in opus caementicium.
La datazione delle strutture dipende dall’inquadramento cronologico degli abbondanti reperti ceramici rinvenuti, i cui elementi significativi, in tal senso, sono attualmente pressoché assenti. Si tratta, infatti, di frammenti di: ceramica comune, vasi di varie dimensioni (in alcuni casi pareti di dolio)[1] a impasto chiaro e rosso-arancio, tegole, coppi e anforacei. Il materiale archeologico può essere genericamente datato all’età romana.
Le strutture possono riferirsi – per concludere – ad un piccolo approdo al servizio di uno o più insediamenti rustici e/o produttivi, ubicati nell’immediato entroterra. La presenza di numerose sorgenti nelle vicinanze ha certamente condizionato la scelta del luogo della sua costruzione.
Non si può escludere che un’influenza, in tal senso, sia stata esercitata anche da alcuni ostacoli naturali – le Secche di Ugento, la Secca dei Malandruni, l’Isola della Fanciulla, ecc. – ubicati a breve distanza dall’approdo che, nel caso di condizioni meteorologiche avverse, potevano rivelarsi particolarmente pericolosi per la navigazione di cabotaggio (sottocosta).
Bibliografia:
Febbraro N., Cavalera M., L’età romana nel Salento centro-meridionale e nel territorio di Salve, in Archeologia del Salento. Il territorio di Salve dai primi abitanti alla romanizzazione (a cura di Febbraro N.), Libellula edizioni, Tricase 2011, pp. 232 – 235.
[1] I dolia sono dei recipienti in terracotta di grandi dimensioni, utilizzati anche per il trasporto marittimo in alternativa o in associazione alle anfore. Erano chiusi da coperchi in terracotta, potevano raggiungere un’altezza di 2 metri e contenere sino a 3.000 litri.