La cappella di San Lasi (San Biagio) a Salve
di Marco Cavalera
Adagiata ai piedi di un rilievo di serra, la cappella di San Lasi (San Biagio) è ubicata a circa 2 km da Morciano e da Salve, sulla strada provinciale che da quest’ultima conduce alla Marina di Torre Vado.
L’edificio di culto si colloca in una località caratterizzata, in età romana, dalla presenza di un insediamento produttivo, rinvenuto a seguito di recenti ricerche di superficie[1].
La storiografia locale nella medesima area localizzava un antichissimo centro messapico, a poca distanza dal luogo dove sorse poi Salve e fu distrutto anch’esso, come Cassandra, dai Goti[2].
Le indagini di superficie – invece – hanno permesso di individuare cospicue evidenze archeologiche, relative a una villa rustica di età imperiale e/o tardo antica. Si trattava di una fattoria ubicata a breve distanza dalla via ‘Sallentina’ – e fungeva, con molta probabilità, da epicentro di un fundus (podere).
La Cappella medievale di San Lasi è ubicata circa 250 metri ad est dell’insediamento romano.
L’edificio di culto presenta, in particolar modo nella parte inferiore della sua struttura, alcuni blocchi calcarei squadrati di notevoli dimensioni, per i quali è ragionevole ipotizzare un’originaria provenienza dai ruderi dell’antica villa. La struttura di alcune piccole chiese medievali si caratterizza, infatti, per la presenza di materiale lapideo – talvolta cippi e stele – riutilizzato da vicine strutture di età romana. Si possono citare, ad esempio, i casi della cappella di S. Pietro a Giuliano, del mausoleo c.d. Centopietre e della chiese di S. Giovanni Battista (Patù) e S. Eufemia (Specchia).
Secondo Pagliara, la relazione fra ruderi di strutture rurali di età romana ed edifici di culto medievali sia dovuta alla persistenza, nei comparti agrari interessati dal fenomeno, di particolari caratteristiche pedologiche e idrografiche; si potrebbe anche tenere conto del peso che possono aver avuto nel determinare la scelta di terreni da restituire alla coltura agraria, sia la notazione delle tracce delle antiche sistemazioni del terreno (ad es. terrazzamenti, spietramenti, etc.), sia la possibilità di riadattamento e riutilizzazione di comodità, quali antichi pozzi e cisterne per la raccolta delle acque meteoriche, resti di viabilità interpoderale, etc. Altro elemento non trascurabile, anche se non determinante, potrebbe essere stato quello della facilità di reperimento di ottimo, e a volte anche prezioso, materiale da costruzione, già pronto sul posto e di costo quasi nullo, offerto da provvidenziali cave, quali appunto credo venissero allora considerate le «venerande anticaglie»[3].
Monsignor De Rossi ha descritto la cappella nel corso della Visita pastorale del 1711: nella chiesa vi è un altare con l’immagine di San Biagio, Santa Veronica e Santissimo Crocifisso, dipinto alla maniera del Salvatore che sanguina. La Grancia appartiene alla chiesa e sappiamo che fu costruita con pubblico denaro. Vi sono anche le insegne gentilizie della città di Salve ovvero una colomba col ramo di ulivo ed una S in pietra sotto i piedi. In questa chiesa, per devozione, frequentemente vi si celebrano messe e nel giorno festivo vi si reca il capitolo e devotamente rende onore con la recita delle Ore divine dei Vespri ed al mattino celebra gli uffici sacri. Dietro la chiesa vi è un piccolo giardino con alberi comuni e, segnatamente, con l’albero detto dal popolo la cornula[4].
Sul portale di ingresso lo stemma descritto dal De Rossi riporta una data incisa: 1716.
L’interno si presenta ad una sola navata, con il pavimento leggermente più ribassato rispetto al piano esterno. Una pregevole statua in pietra leccese di San Biagio fa bella mostra di sé alle spalle dell’altare, su un basamento su cui vi è incisa un’iscrizione in latino che racconta di uno scioglimento di un voto da parte della popolazione di Salve nel 1716.
La cappella originaria, tuttavia, aveva un orientamento differente, con l’abside rivolta ad Est. Attualmente tagliata, come si può notare anche dall’esterno sulla parete orientale.
All’interno del catino absidale si conservano evidenti tracce di affreschi bizantini (X secolo) e moderni (XVII secolo).
A tal proposito, la prof.ssa Manuela De Giorgi scrive: “Nella sommità dell’abside si intravedono i resti di una sinopia pertinente al volto di una Vergine con Bambino fra gli Arcangeli Gabriele e Michele […]. Nel cilindro sono campite alcune figure di santi, piuttosto monumentali, dai panneggi volumetrici segnati da pieghe che ricadono in modo naturale”[5].
Secondo lo studioso Stefano Cortese si tratta di “una tipica decorazione delle chiese di età medio-bizantina, con gli angeli che indossano una veste rosa scuro, segnata da pieghe abbondanti animate da lumeggiature bianche, appiattite ma non stilizzate”[6].
Altri affreschi sono presenti nell’arco di apertura dell’abside e sono probabilmente di una ulteriore fase costruttiva della cappella, quella del XVII secolo. Essi rappresentano un’interessante Madonna delle Grazie con l’iscrizione spagnola “Santa Maria de la Gracia”, forse voluta per devozione di una famiglia spagnola – Hernandes o Hernandez – domiciliata in quel periodo a Salve[7]. Di fronte, anch’essa indiziata da una didascalia, vi è campita una Santa Venera, di cui rimangono ben poche tracce e i resti pittorici “di un santo con un bastone, che potrebbe essere il San Biagio citato nella visita pastorale” del De Rossi[8]. Nel lato destro del cilindro absidale Stefano Cortese attribuisce ad uno dei due Santi Medici “un santo che sembrerebbe reggere un unguentario”, mentre “procedendo verso il centro del cilindro absidale compare una figura benedicente alla greca che sembrerebbe sovrapponibile ad alcune riproduzioni del San Giovanni Battista”[9].
Sull’arco dell’abside Cortese segnala “scarne tracce di intonaco di preparazione con sinopia del X secolo”, che attribuisce “verosimilmente all’immagine di un Cristo seduto su un trono”[10].
Un Sant’Andrea, invece, è stato dipinto nello spiccato esterno destro dell’abside.
Secondo la tesi di Manuela De Giorgi, avallata anche da Stefano Cortese, il primo ciclo di affreschi nel catino, nel cilindro e nello spiccato dell’abside sarebbe da riferire al X secolo, sulla base di un confronto con quelli del pittore bizantino Teofilatto – datati al 959 – della Cripta di Santa Cristina a Carpignano Salentino[11].
Meritevoli di uno studio più approfondito sono alcuni disegni, di dubbia interpretazione, graffiti sugli affreschi seicenteschi. Un paio di incisioni, di fattura piuttosto grossolana, ricordano vagamente delle imbarcazioni. La cappella, infatti, dista poco meno di 2 km dal porto di Torre Vado, la cui torre costiera è attestata già nel 1576.
Numerosi croci incise sulle pareti esterne, in particolare orientale e settentrionale, indiziano la devozione popolare nei confronti di questo luogo di culto e, probabilmente, un passaggio di pellegrini diretti a Santa Maria di Leuca.
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BIBLIOGRAFIA:
Busti L., “Chiesa, Cappelle e Benefici ecclesiastici nella Santa Visita del Mons. De Rossi del 1711”, 2008, p. 35.
Cortese S., “I cicli pittorici nell’abside della Chiesa di Santu Lasi a Salve”, in Annu novu Salve vecchiu, Tricase, 2017, ed. Cultura e Turismo, pp- 33-37.
De Giorgi M., “La Cappella di San Lasi a Salve”, in BERTELLI G. (a cura di) “Puglia Pre-romanica dal V sec. agli inizi dell’XI”, pp. 282-283, S. Egidio alle Vibrate (Te) 2004.
Febbraro N., “Archeologia del Salento. Il territorio di Salve dai primi abitanti alla romanizzazione”, Tricase 2011, pp. 255-257.
Pagliara C., “Note di epigrafia latina IV”, in “Studi d’Antichità”, 2, pp. 205-235, Galatina (Le) 1980.
Russo A.M., “Alla ricerca dell’immagine antica di San Biagio nella Cappella di Salve”, in Annu Novu Salve Vecchiu, 19 ed., pp. 47-50, Tricase 2015.
Simone A., “Salve Storia e Leggenda”, Milano 1981.
SITOGRAFIA
http://www.salveweb.it/San_Lasi.htm
http://www.salogentis.it/2016/10/08/la-cappella-di-san-lasi-san-biagio-salve/
NOTE
[1] Febbraro 2011.
[2] Simone 1981.
[3] Pagliara 1980.
[4] Busti 2008.
[5] De Giorgi 2004, pp. 282-283.
[6] Cortese 2017, p. 34.
[7] Russo 2015, p. 49.
[8] Cortese 2017, p. 36.
[9] Cortese 2017, p. 35.
[10] Cortese 2017, p. 36.
[11] De Giorgi 2004, p. 283.