Caverna e riparo sottoroccia (Salve – Lecce)
di Nicola Febbraro, Marco Cavalera e Anna Lucia Nicolì
INTRODUZIONE
La maggior parte delle informazioni e delle immagini presenti in questo articolo sono tratte dal volume “Archeologia del Salento. Il territorio di Salve dai primi abitanti alla romanizzazione” (fig 1).
Fig. 1 – Copertina del volume “Archeologia del Salento”.
Nel novembre del 2005, grazie ad una segnalazione avuta dal signor Antonio Ricciato di Salve, sono stati individuati una caverna e un riparo sottoroccia[1], in località Posto Vecchio di Salve, entrambi ignoti alla letteratura locale, speleologica e paletnologica. La caverna non aveva ovviamente un nome con il quale poter essere identificata; le è stato assegnato pertanto quello del proprietario della particella su cui ricade: Foscarini-De Donatis. Il riparo e la caverna sono ubicati in un fondo incolto, posto a 15 metri sul livello del mare, nelle immediate vicinanze del centro abitato di Pescoluse (fig 2).
Fig. 2 – Rilievo aereofotogrammetrico (foglio 5, comune di Salve) del 1985. Scala 1: 5000. 1 grotta all’interno del camping, 2 Grotta Triscioli, 3 Grotta Cantoro, 4 grotta distrutta dalla costruzione di un’abitazione moderna.
IL RIPARO SOTTOROCCIA
Il riparo sottoroccia – ubicato immediatamente a Sud della caverna – si caratterizza per la presenza di una parete rocciosa, lunga circa 60 metri, il cui sviluppo ha un andamento pressoché regolare. La sua altezza massima, rispetto al piano di campagna, è di 5,5 metri. Alla base della stessa vi è un deposito – di terra rossa, sabbia e pietre calcaree – di incerto spessore, delimitato dalla parete rocciosa e da un muro a secco ad essa pressoché parallelo (fig. 3).
Fig. 3 – Riparo sottoroccia con in primo piano il muro a secco.
La notevole presenza di vegetazione spontanea ha reso difficoltoso sia l’accesso nella cavità che la perlustrazione dell’attiguo riparo. L’effettuazione di quest’ultima ha permesso, comunque, di individuare in superficie diversi resti fossili di fauna pleistocenica e alcuni manufatti in selce (fig. 4). I reperti sono stati prontamente segnalati agli organi competenti e posti in sicurezza presso il laboratorio di Paletnologia dell’Università del Salento, dove sono stati oggetto di studio nell’ambito di una tesi di laurea – la cui relatrice è stata la prof.ssa Elettra Ingravallo – discussa nel novembre del 2006.
Fig. 4 – Strumenti in selce dal Riparo Foscarini-De Donatis: raschiatoi (1 e 2), lametta ritoccata (3) e punta (4).
Le rocce maggiormente ricercate dall’uomo nel corso della preistoria (selce, ossidiana, quarzite, diaspro etc.) sono assenti nel Salento dove abbondano, invece, le formazioni calcaree. A causa di ciò, ad esempio, nel corso del Paleolitico medio salentino, H. di Neanderthal ha sfruttato anche delle valve di molluschi (callista chione in particolare) per l’ottenimento di manufatti. La presenza nei depositi preistorici salentini di rocce estranee alle nostre formazioni geologiche, come in questo caso, quindi, è indicativa degli intensi scambi fra i gruppi umani a medio e lungo raggio (particolarmente ricercate erano la selce dal Gargano e l’ossidiana dalle isole Eolie).
Buona parte dei reperti faunistici, individuati nei pressi del riparo, erano indeterminabili (non presentavano cioè elementi tali da poter essere attribuiti ad una determinata specie); sei reperti – invece – sono stati attribuiti a Bos sp. e ad Equus sp. ossia a bovidi e ad equidi (fig. 5).
Fig. 5 – Reperti di fauna pleistocenica dal Riparo Foscarini-De Donatis: denti di Bos sp. (1-3) e di Equus sp. (4-6).
Tutti i denti rinvenuti sono appartenenti a degli equini. Non si è potuto stabilire se appartenessero ad Equus caballus o hydruntinus. Il primo è particolarmente presente in stratigrafie archeologiche del Paleolitico medio e superiore iniziale per poi divenire più raro nelle fasi successive. La specie hydruntinus diventa, invece, molto diffusa a partire dal Paleolitico superiore finale. L’hydruntinus (meglio noto come asino idruntino) è un equide di media mole, con gli arti snelli, molto diffuso nei contesti preistorici salentini, in particolare a Grotta Romanelli (Castro) e a Grotta del Cavallo (Baia di Uluzzo, Nardò). A prescindere dalla specie d’appartenenza (caballus o hydruntinus) il rinvenimento di resti fossili d’equidi costituisce un utile riferimento cronologico. Le specie di cavallo selvatico, infatti, scompaiono dai depositi preistorici italiani alla fine del Pleistocene ossia circa 10.000 anni fa. Resti attribuibili a degli equini, con evidenti segni dell’avvenuta addomesticazione, ricompaiono in Italia a partire dalla seconda metà del terzo millennio a.C. ossia nel corso dell’Eneolitico o età del Rame.
La presenza dei frammenti ossei indeterminabili, prevalentemente di piccole dimensioni, potrebbe essere dovuta a fattori naturali o ad un’attività intenzionale di frantumazione per ricavarne il midollo, ossia una leccornia per i cacciatori-raccoglitori preistorici.
I dati a disposizione, seppur esigui e frutto di ricognizioni di superficie, hanno permesso di ipotizzare una frequentazione del riparo, da parte di gruppi preistorici, nel corso delle fasi finali del Paleolitico superiore (circa 15/10.000 anni fa).
LA CAVERNA
La caverna (fig. 6), costituita da un unico grande ambiente, si sviluppa nelle formazioni calcarenitiche del Pleistocene medio (0.75 – 0.12 milioni di anni fa). Nei pressi dell’imboccatura – di notevoli dimensioni e rivolta a Sud/Est (in direzione di S.Maria di Leuca) – vi è un muro a secco, in parte diruto, probabilmente d’età post-medievale, che in origine si sviluppava sino alla volta (fig. 7).
Fig. 6 – Planimetria e sezione trasversale della caverna. Scala 1: 100.
Fig. 7- Grande imboccatura della caverna – con il muro a secco – che in origine si sviluppava sino alla volta.
Il piano di calpestio della caverna è costituito, in prevalenza, da banco roccioso affiorante, ad eccezione di alcuni lembi di deposito a terra rossa che colmano delle depressioni. La volta e le pareti sono pressoché piane. A partire dall’angolo orientale della cavità si sviluppa un breve corridoio – scavato artificialmente – in fondo al quale vi è un’apertura verso l’esterno di modeste dimensioni (fig. 8).
Fig. 8 – Breve cunicolo che si apre dall’angolo est della caverna.
Nell’angolo occidentale della caverna – invece – è presente un cunicolo la cui imboccatura, di piccole dimensioni, si sviluppa a circa un metro dal suolo e non permette l’accesso al suo interno se non a professionisti del settore (figg. 9 e 10).
Fig. 9 – Cunicolo con stalattiti e concrezioni calcaree.
Fig. 10 – Imboccatura dello stretto cunicolo.
Il cunicolo – del quale è possibile seguire visivamente lo sviluppo per circa 10 metri – si caratterizza per la presenza di un lento stillicidio, tuttora in corso, che ha originato numerose piccole stalattiti e concrezioni calcaree, che ricoprono buona parte delle pareti e della volta dello stesso (figg. 11 e 12).
Fig. 11 – Volta del cunicolo con stalattiti.
Fig. 12 – Primo piano delle concrezioni calcaree.
All’interno della caverna Foscarini-De Donatis non sono state rinvenute tracce relative ad una frequentazione umana di interesse paletnologico. Si tratta – comunque – di un’eventualità che non si può escludere, considerando le evidenze individuate nell’attiguo riparo. L’intenso sfruttamento della cavità a scopo abitativo – avvenuto in età storica – può aver causato l’obliterazione delle tracce relative alle eventuali più antiche frequentazioni.
LA FREQUENTAZIONE POST-MEDIEVALE DELLA CAVERNA
Ai pastori e ai contadini che hanno abitato la caverna, probabilmente in età post-medievale, sono da attribuire i rifacimenti strutturali della stessa. In particolare: la costruzione del muro nei pressi della sua imboccatura, lo scavo di sedili e di piccole nicchie lungo le pareti, l’incisione di alcuni segni sulle stesse, fra cui alcune croci, e lo scavo del cunicolo che si apre nell’angolo est. In quest’ultimo caso si tratta, probabilmente, dell’ampliamento di una preesistente cavità. Il cunicolo potrebbe essere stato utilizzato come ricovero per i caprovini e magari delimitato da un muro a secco di cui non è rimasta traccia, se non la presenza di diversi blocchi calcarei irregolari sparsi al suolo. Questo spiegherebbe anche le ridotte dimensioni della sua apertura verso l’esterno, non adatta al transito umano.
LE CAVITÀ NATURALI DI LOCALITÀ CANTORO
Le cavità naturali annesse alla masseria Cantoro o “delli Rutti”, poco distanti dalla caverna (circa 800 metri in direzione Est/Nord-Est), presentano dei rifacimenti strutturali, a scopo abitativo e per il ricovero degli animali, confrontabili con quelli precedentemente descritti. In questo caso, l’utilizzo delle cavità ipogee a fini pastorali-agricoli è testimoniato dal catasto Murattiano del 1811. Il complesso carsico in questione era costituito da quattro cavità ipogeiche. Attualmente ne sono rimaste tre, poiché una è stata distrutta, nel corso degli ultimi decenni del secolo scorso, in occasione della costruzione di un edificio moderno. La grotta più ampia è sita all’interno di un camping e le altre due, fra le quali Grotta Triscioli, hanno conservato i rifacimenti strutturali cui si è fatto cenno. All’interno di quest’ultima sono state rinvenute nel 1997, da alcuni membri dell’Associazione Speleologica Magliese, importanti testimonianze archeologiche d’età prei-protostorica. Fra queste si annoverano: dei resti di fauna pleistocenica, un vaso attribuito alla cultura neolitica di Serra D’Alto (IV millennio a.C.) e una ciotola monoansata riferibile alla media età del Bronzo (metà del II millennio a.C.).
RINGRAZIAMENTI
Gli autori ringraziano il sig. Antonio Ricciato per la segnalazione della caverna, il sig. Antonio Piccinno e i dott.ri Giuseppe Chiriacò e Alberto Potenza per l’analisi del materiale preistorico.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
BROGLIO A., Introduzione al paleolitico, Roma-Bari 1998.
CIARANFI N., PIERI P., RICCHETTI G., Carta Geologica delle Murge e del Salento, Tavola I (scala 1:250.000), 1988.
DE GROSSI MAZZORIN J., La caccia agli equidi nel Paleolitico.
FABBRI P .F., INGRAVALLO E., MANGIA A. (a cura di), Grotta Romanelli nel centenario della sua scoperta (1900-2000), Atti del convegno di Castro 6-7 ottobre 2000, Congedo, Galatina 2003.
FEBBRARO N., Ricognizioni di interesse paletnologico in territorio di Salve (Le), tesi di laurea in Paletnologia, Università del Salento, Anno Accademico 2005-06.
FEBBRARO N., Archeologia del Salento. Il territorio di Salve dai primi abitanti alla romanizzazione, Libellula Edizioni, Tricase (Le) 2011, pp. 89-92.
FEBBRARO N. e CAVALERA M., Caverna e riparo sottoroccia in località “Posto Vecchio in territorio di Salve, in “Annu novu, Salve Vecchiu” XV, Alessano (Le) 2005, pp. 28-44.
INGRAVALLO E., Lontano nel tempo. La preistoria del Salento, Lecce 1997.
INGRAVALLO E., Il museo racconta. Il Salento e la preistoria, Cavallino (Lecce) 2004.
MALATESTA A., Geologia e paleobiologia dell’era glaciale, La Nuova Italia scientifica, Roma 1985.
MELEGARI G.E., Speleologia scientifica e esplorativa, Calderini, Bologna 1984.
PASSASEO N., Grotte-abitazione nel territorio di Salve, in “Annu novu, Salve Vecchiu” IX, Salve 1995, pp. 15-18.
PERONI R., L’Italia alle soglie della storia, Laterza 1996.
TAGLIACOZZO A., I mammiferi dei giacimenti pre- e protostorici italiani. Un inquadramento paleontologico ed archeozoologico, in A. Guidi e M.Piperno, Italia Preistorica, Laterza 1992.
[1] Termine con il quale si intende un ambiente all’aperto delimitato da una parete rocciosa che garantisce un parziale riparo dalle avverse condizioni atmosferiche, motivo per cui veniva scelto da alcuni gruppi umani, nel corso della preistoria, per stabilirvisi stagionalmente o per brevi periodi o per svolgere delle specifiche attività (lavorare la pietra, macellare la cacciagione, ecc.).
© Tutti i diritti sono riservati. Qualsiasi riproduzione, anche parziale, senza autorizzazione scritta degli autori, è vietata.