Il Paesaggio di Pietra di località Ciolo (Gagliano del Capo)
di Marco Cavalera
Paesaggi di pietra: un ambiente interamente costruito adattando la natura alle necessità della vita; pietre intrise di umanità e di sudore […]. Le pietre sono testimonianze di rapporti remoti tra l’uomo e la natura: menhir, dolmen, tumuli di specchie, ma soprattutto pietre sovrapposte con perizia secolare per costruire una miriade di piccole costruzioni o di muretti […]. In questa regione affamata di terra la pietra si trasforma da ostacolo in materiale da costruzione, amalgamandosi con la natura (Vincenzo cazzato).
Il paesaggio che fa da cornice al Canale del Ciolo è un susseguirsi di veri e propri monumenti della civiltà contadina: villaggi di capanne litiche circondati da dedali di muretti a secco, che si stagliano in perfetto equilibrio su un promontorio proteso verso il mare, dove l’orizzonte in alcune giornate limpide collima con la catena montuosa degli Acrocerauni.
Le opere in pietra testimoniano una continua lotta tra l’uomo e la natura, con il primo impegnato a liberare spazi coltivabili e arabili anche laddove la seconda sembrava nettamente prevalere.
L’asprezza di queste contrade è stata descritta da Cosimo De Giorgi, che ha percorso stradine campestri per discendere nelle valli e nei burroni, arrampicandosi tra i sassi delle colline che fiancheggiano l’Adriatico e la vegetazione tipica della Macchia Mediterranea, che copre di verde tutto l’altopiano: bisogna tentare una ginnastica da scojattoli,scriveva lo studioso-viaggiatore, per osservare i burroni profondi e tanto pittoreschi del Ciolo e di Novaglie, che somigliano alle gravine di Castellaneta nel Tarantino, e per visitare le grotte delle Prazziche, molto sollevate sul mare, di fronte all’immenso mare di Leuca.
Il sentiero, ora perfettamente fruibile, si snoda in un paesaggio mozzafiato a picco sul mare, dove lo sguardo spazia da Punta Palascìa (presso Otranto) al profilo erto dell’isola di Othonoi (Fanò).
Sulle alte falesie del Canalone, sospese tra Terra e Mare, si affacciano una miriade di cavità che da sempre hanno offerto riparo e protezione ad uomini ed animali.
La stessa località è stata intensivamente indagata, negli anni ’60, da un’equipe di archeologi dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, coadiuvata da alcuni gruppi speleologici locali, con ottimi riscontri dal punto di vista della conoscenza della Preistoria salentina.
I depositi rinvenuti all’interno delle grotte hanno conservato importanti reperti che attestano una frequentazione fin da epoche molto remote.
Tra una pajara e una mantagnata, tra una liama e un muro paralupi, si giunge al cospetto di una cavità naturale che si apre a 35 metri sul livello del mare lungo il costone sud-occidentale del Canale del Ciolo. Si tratta della Grotta dei Moscerini, così definita per via del cunicolo orizzontale infestato dai moscerini. Nel 1962 fu effettuato un piccolo saggio di scavo che ha messo in evidenza tracce di un focolare e numerosi frammenti di vasi ad impasto dell’età del Bronzo. Dieci anni dopo, nel 1972, venne rilevata dal Gruppo Grotte Milano, condotto da Adriano Vanin, che segnalava la presenza non solo degli insetti ma anche di nasse utilizzate dai pescatori del luogo.
A poche decine di metri di distanza – a 60 metri s.l.m. – si individua una cavità, inglobata in una proprietà privata, il cui ampio ingresso è chiuso da un muretto a secco. L’ambiente interno ospita un vecchio albero di fico che pare abbia trovato il suo habitat ideale, mentre delle buche nel sedimento di terra indiziano la presenza di piccoli mammiferi assopiti nel lungo letargo invernale. La grotta è costituita da un ampio ingresso da cui si dirama un corridoio, il cui sviluppo si segue con lo sguardo per pochi metri. Un altro cunicolo, di ridotte dimensioni, si apre a circa tre metri di altezza sulla parete a sinistra. Frammenti di ceramica ad impasto protostorica e acroma di incerta datazione si rinvengono qua e là sparsi, sia sulla superficie interna della grotta che sul terrazzamento antistante.
Sull’opposto pendio del Canale del Ciolo si apre, a 62 metri s.l.m., la Grotta Prazziche di Sopra, da alcuni anni attrazione di un noto locale notturno. Lunga 42 metri e larga 6 metri, è stata oggetto di due campagne di scavo svoltesi nel 1964 e 1965, che hanno messo in luce una stratigrafia con abbondante fauna (cervi, volpi, cavalli e bovidi) in associazione con industria litica su calcare forse del Paleolitico superiore. Di estrema importanza archeologica è il rinvenimento di industria neolitica legata a tecniche di lavorazione paleolitiche, che dimostra il lento processo di neolitizzazione della popolazione indigena, rispetto ad altri gruppi umani della penisola già assimilati dalla nuova cultura neolitica.
I rinvenimenti più importanti da Grotta Prazziche sono stati effettuati dall’archeologo Borzatti Von Lowenstern. Si tratta di due oggetti d’arte mobiliare: un osso fluitato dipinto a macchie rosse ed un ciottolo graffito.
Un’altra cavità che ha conservato per millenni frammenti di storia umana è la Grotta della Serratura, in località Fogge, a nord del canalone. Anche in questo caso le indagini di superficie hanno rilevato la presenza di un deposito archeologico che consisteva in ceramica riferibile a diverse fasi dell’età protostorica.