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Associazione Archès

La costa del Capo di Leuca. Le torri, le grotte e i santuari del mare

di Associazione Archès

A sud-est d’Italia, nell’estremo lembo di Terra che viene definito Capo di Leuca, si annidano luoghi magici che nascondono scorci incantati.

Si tratta di tesori di inestimabile valore, sotto il profilo storico-naturalistico, e le loro peculiarità li hanno resi oggetto di superstizioni e di culti primordiali. Inaccessibili dalla terraferma, si possono raggiungere per lo più attraverso una navigazione sottocosta.

Le sentinelle della costa

Partiamo dal caratteristico porticciolo di Torre Pali (fig. 1), rinomata località balneare, che prende il nome da un’affascinante torre costiera. Venne costruita nel 1563 su di uno scoglio isolato a circa 20 metri dalla riva a cui era collegata originariamente con un ponte in muratura del quale non è rimasta traccia. Collegata a vista con altre torri, sia lungo la costa che nell’entroterra, permetteva di allertare la popolazione locale dall’incombente pericolo delle navi corsare e dei pirati. Attualmente la torre, della quale rimane soltanto una parte della base, si erge, misteriosa e tenace, dalle acque del mare.

Fig. 1 – Torre Pali.

In questa ideale navigazione, procediamo ora verso sud, lungo le dorate distese sabbiose delle marine di Pescoluse e Posto Vecchio (fig. 2). Una spiaggia incantevole fa da cornice ad un mare cristallino dalle intense, cangianti sfumature cromatiche mediterranee.

Fig. 2 – tratto di mare compreso tra Torre Pali e Pescoluse (foto di N. Febbraro, tratta dal volume “Archeologia del Salento”).

Da Torre Vado in poi, la sabbia cede il passo all’argentea costa bassa e rocciosa. L’attenzione è ora attratta da un’altra torre costiera che si erge maestosa a ridosso del piccolo porto, ormai spoglia della sua originaria funzione difensiva (fig. 3).

Fig. 3 – porto di Torre Vado.

Le docili onde del mare ci conducono nella prossima tappa, la suggestiva insenatura di Torre San Gregorio che, da circa 2500 anni, ospita un piccolo approdo (fig. 4). Dell’antico porto sono visibili alcuni resti di età messapica e, soprattutto, romana.

Fig. 4 – Baia di San Gregorio (Patù). 

Dopo aver salutato l’antico approdo dei Messapi (la popolazione che ha civilizzato il Salento prima di essere sottomessa dai Romani a partire dal 266 a.C.), ci dirigiamo verso “i confini del mondo”: Santa Maria di Leuca o de Finibus Terrae (fig. 5).

Fig. 5 – grotte della costa a Ponente.

La vertigine del tempo

Qui molte grotte ci raccontano una storia antica. La presenza dell’uomo che le ha frequentate risale al Paleolitico medio e superiore (130000/10000 anni fa), quando prima l’ Homo di Neanderthal e dopo l’ Homo Sapiens le hanno occupate dedicandosi alla caccia e alla raccolta di frutti spontanei. Anche il paesaggio era profondamente diverso. Dobbiamo immaginare infatti che, a causa delle oscillazioni climatiche, in questo periodo, molto freddo, le grotte non erano in riva al mare, ma nell’entroterra. Quindi avremmo visto la distesa d’acqua non nella sua posizione attuale ma “spostata” di diversi chilometri verso ovest. Anche la flora e la fauna apparivano molto diverse dall’attuale, con orsi, pinguini, mammuth.

La Grotta del Drago, procedendo verso sud-est, è il primo anfratto che incontriamo (fig. 6). L’acqua, di colore verde-azzurro al suo interno, crea spettacolari giochi di luce sulle pareti e nel fondale. La grotta presenta due immense aperture, alte circa 30 metri e  separate da un pilastro di roccia, che permettono l’ingresso in un ampio vano. Essa prende il nome da uno scoglio che mostra notevoli affinità morfologiche con un drago. Un deposito preistorico, conservato al suo interno, presenta resti faunistici di pachidermi (elefanti e rinoceronti), vissuti circa 70000 anni fa, quando le condizioni climatico-ambientali erano adatte alla loro natura. Alcuni pescatori del luogo affermano che la grotta, alcuni decenni or sono, ospitava una foca monaca.

Fig. 6 – Grotta del Drago, esterno.

Lasciandoci alle spalle i ruderi della Torre Marchiello (fig. 7) ci imbattiamo in una delle cavità carsiche più rilevanti dal punto di vista archeologico: la Grotta dei Giganti. Il nome deriva dal rinvenimento di numerose ossa di grandi mammiferi attribuite, inizialmente… a dei giganti! Al suo interno, inoltre, sono stati individuati numerosi strumenti in pietra riferibili ad Homo di Neanderthal, delle ceramiche attribuibili all’età del Bronzo (4300-3000 anni fa) ed una tomba di età altomedievale (IX sec. d.C.) con cinque monete in bronzo.

Fig. 7 – tratto di costa ponentina con sullo sfondo i ruderi della Torre Marchiello.

A brevissima distanza raggiungiamo un’altra imponente cavità anch’essa ricca di fascino e di suggestione: la Grotta delle Tre Porte (fig. 8, 9), che prende il nome da grandi triplici ingressi, attraverso i quali il vano interno semisommerso comunica con il mare. Lungo le pareti interne ed esterne si notano lembi di riempimento detritico concrezionato, che contengono frammenti di ossa, talora combuste, di fauna di prateria, di elefanti e di rinoceronti. Dal primo vano della cavità si snoda un cunicolo, lungo 27 metri, che termina con un’ampia camera ricca di stalattiti e stalagmiti. Vi trovate nell’Antro del Bambino, così chiamato in quanto qui si rinvenne un dente appartenuto ad un bambino neanderthaliano oltre a strumenti in pietra, resti di focolari ed ossa fossili di animali preistorici.

Varcato l’enorme uscio d’ingresso di Grotta delle Tre Porte sussegue la Grotta del Fiume, il cui nome deriva dalla presenza di un avvallamento che la sovrasta, prodotto dell’erosione di un antico torrente che sfociava nel mare.

Fig. 8, 9 – tratto di costa di Ponente con sullo sfondo la Grotta delle Tre Porte.

I racconti, i miti, i culti

Continuando il periplo dell’Akra Iapigia, si erge maestoso il ripido promontorio di Punta Ristola (fig. 10) che conserva gelosamente due importantissime cavità. La prima ha un nome importante: la Grotta del Diavolo. Si tratta di antro che incute superstiziosi timori tanto che lo scrittore francese Francois Fenelon lo descrisse come “l’ingresso degli inferi attraverso cui il figlio di Ulisse si spinse alla ricerca del padre” (fig. 11). Le diverse esplorazioni effettuate al suo interno hanno portato alla luce depositi contenenti fauna di mammiferi, resti ossei umani, strumenti in selce e numerosi reperti ceramici riferibili al Neolitico e all’età dei Metalli (6000-2900 anni fa).

Fig. 11, 12 – Punta Ristola e Grotta del Diavolo (interno).

Proseguendo ancora verso il Faro di Leuca incontriamo la Grotta Porcinara (fig. 12), molto conosciuta al tempo dei Messapi in quanto vi si svolgevano dei riti in onore di Batas (divinità maschile che impugna il fulmine), al quale si rivolgevano i naviganti locali e greci in cerca di protezione o in segno di ringraziamento. Conosciamo la sua funzione per le numerose iscrizioni dedicatorie presenti sulle sue pareti. La grotta, inoltre, rappresentò senza dubbio un luogo d’incontro, dove potersi scambiare prodotti e conoscenze.

Fig. 12 – Grotta Porcinara vista dal mare (foto di N. Febbraro, tratta dal volume “Archeologia del Salento”).

Superata Punta Ristola è possibile ammirare la meravigliosa baia di S. Maria di Leuca, con le sue ville otto-novecentesche, protetta a sud-est dal promontorio di Punta Meliso che dolcemente si inabissa nelle profondità del mare fungendo da spartiacque fra lo Ionio e l’Adriatico (fig. 13, 14). Le rocce calcaree, abbagliate dai raggi del sole, diventano bianche come l’imponente faro (funzionante dal 1866) che, dall’alto dei suoi 47 metri, guida la rotta dei naviganti. Il Santuario di Santa Maria de Finibus Terrae, poco distante, è stato distrutto e ricostruito più volte nel corso dei secoli. L’austerità delle sue linee architettoniche è dovuta alla necessità di celare la sua funzione sacra con una veste profana.

Fig. 13 – Punta Meliso vista dal mare (foto di N. Febbraro). 

Fig. 14 – Punta Meliso vista dalla sommità del faro. 

Doppiato il promontorio japigio puntiamo verso nord-est risalendo l’Adriatico[1] le cui scogliere, a strapiombo sul mare ed alte sino a 100 metri, sono ricche di cavità e di anfratti (fig. 15, 16).

Fig. 15 – grotta che si apre sulla costa di Levante (foto N. Febbraro).

Fig. 16 – grotta che si apre sulla costa di Levante, vista dall’interno (foto N. Febbraro).

Le meraviglie della natura

Il mare assume qui un colore blu intenso, in quanto raggiunge a pochi metri dalla costa la profondità di 20-30 metri. Incontriamo ora un’interminabile successione di cavità modellate dall’azione erosiva del mare con scorci ed effetti luminosi di inimitabile bellezza: Grotte di Terrarico, la Cattedrale, Capanna degli Indiani, Grotte di Verdusella sino a giungere alla Grotta del Soffio e alla Grotta della Vora. Si tratta di due cavità molto vicine tra loro, situate in una piccola insenatura. Un’atmosfera magica e surreale le contraddistingue e l’acqua sorgiva, dolce e purissima, mescolandosi con quella del mare, crea spettacolari effetti cromatici.

La Grotta del Soffio è accessibile attraverso un’apertura, radente la superficie del mare, dalla quale fuoriesce dell’aria dando origine ad un particolare spruzzo, denominato “soffio”, che le ha dato il nome. Sarà qui possibile assaporare l’ebbrezza unica data dall’attraversamento del soffio che permette di accedere all’ampio ambiente interno semisommerso.

La Grotta della Vora è una cavità alta più di 25 metri la cui volta è attraversata da un foro circolare (detto in dialetto salentino “vora”). Il fascio di luce che vi penetra crea, in determinati momenti della giornata e a contatto con l’acqua del mare, suggestivi effetti luminosi fra i quali il cosiddetto “cerchio dorato”. L’impressione che si ha al suo interno è quella di essere in una maestosa cattedrale.

Il nostro giro termina alle Grotte delle Mannute, cavità a mezza costa che si caratterizzano per la presenza di stalagmiti e stalattiti che raggiungono i sette metri di altezza.

Dopo aver rivolto l’ultimo sguardo al mare Adriatico, con i suoi promontori che degradano a picco sul Canale d’Otranto, ritorniamo nel porticciolo di Torre Pali, da cui ha avuto inizio questo straordinario viaggio tra le meravigliose grotte dell’Akra Iapigia.

Qui il sole, che gradatamente andrà a nascondersi dietro le frastagliate montagne dell’antica Enotria (Calabria), riapparirà l’alba successiva dietro gli Acrocerauni, la catena montuosa dai profili ruvidi e grigiastri che attraversa l’Epiro e la Grecia settentrionale, visibile all’orizzonte nelle giornate più limpide.

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Note

[1] Sui confini del mar Adriatico e il mar Ionio esistono diverse convenzioni. Secondo quella dell’Organizzazione idrografica internazionale, il limite convenzionale fra costa ionica e costa adriatica è posto a Santa Maria di Leuca (da punta Mèliso lungo la linea immaginaria che va fino a Capo Cefalo sull’isola di Corfù). Un’altra convenzione pone la linea di demarcazione lungo lo stretto di mare fra Capo d’Otranto, nel Salento, e Capo Linguetta in Albania (fonte: Wikipedia).