La cripta del Gonfalone di Sant’Eufemia (Tricase)
di Stefano Cortese
Fonti storiche
Sulla strada che congiunge Sant’Eufemia ad Alessano, nei pressi di alcune vestigia archeologiche (in particolare carraie e tombe), sorge la cripta del Gonfalone, segnalata da un vistoso campanile a vela e dei corpi di fabbrica (fig. 1).
Fig. 1 – esterno della cripta del Gonfalone. Foto di Alessandro Bianco
L’invaso è stato scavato nel banco roccioso in epoca imprecisata: le datazioni proposte del bene infatti, oscillanti dall’VIII all’XI secolo, risultano essere senza alcun fondamento, in assenza di documentazione probante sia a livello documentario-archivistico, che a livello artistico.
I diversi studiosi hanno inoltre asserito una dipendenza della cripta dall’abbazia di san Nicola di Casole o dall’abbazia di santa Maria del Mito, senza indicarne la fonte, anzi avanzando l’ipotesi di una presenza stanziale di un insediamento monastico in loco, forse tratti in inganno dai vetusti testi del Tasselli[1] e Arditi[2]; stando però a quanto riportato in un documento che ho scovato di recente nell’archivio vescovile di Ugento, nel 1615 era dipendenza dell’abbazia commendata del Mito: nella relazione ad limina di quell’anno infatti, trovo scritto che il monastero tricasino “habet amexa ecclesia de S.ta Maria de Confalone”[3].
Maggiore documentazione è stata però rinvenuta nell’archivio diocesano di Otranto[4] in quanto una quota del casale di sant’Eufemia apparteneva vescovo di Otranto[5], ma non utile a chiarirci le origini della cripta e la sua intitolazione originaria, ancora oggi sconosciuta; l’attestazione alla Madonna del Gonfalone infatti, come sottolinea Accogli[6], dovrebbe essere legate alla influenza francescana e riportata solo dal 1586.
Probabilmente già concepita a pianta centrale, come le probabili contemporanee chiese greche, l’invaso è sostenuto da una selva di colonne e pilastri, mentre la zona centrale è dominata dal piccolo altare “balaustrato”. Il sacello inquadra una icona della Madonna con Bambino attraverso un ovale circondato da ricche ornamentazioni vegetali di gusto seicentesco e culminante con un timpano triangolare (fig. 2).
Fig. 2 – altare balaustrato con l’affresco della Madonna con il Bambino. Foto di Stefano Cortese.
Gli affreschi
A sinistra dell’altare, lungo la parete sud-ovest, sono presenti diversi affreschi cinquecenteschi: riscontriamo quella che per alcune fonti era una santa ignota, ma che l’iscrizione esegetica a sinistra e l’attributo della torre la fa identificare come santa Barbara (fig. 3); a seguire, un santa con palma del martirio e recante un vassoio con gli occhi, senza dubbio santa Lucia.
Fig. 3 – Santa Barbara. Foto di Stefano Cortese.
Un santo di piccola taglia, posizionato su un podio decorato a punta di diamante, divide il pannello della santa siracusana dalla grande scena palinsesto della Dormitio Virginis (fig. 4), o Koimesis[7].
Fig. 4 – Dormitio Virginis. Foto di Stefano Cortese.
Erroneamente identificata come una morte di san Bonaventura[8], forse perché tratto in inganno dal titolo mariano del Gonfalone di matrice francescana, in realtà alcune caratteristiche iconografiche non pongono dubbi sulla vera identità della scena. In basso innanzitutto, davanti al motivo a scacchiera tipico dell’epoca quattro-cinquecentesca, compare un angelo mentre recide le mani al sacerdote ebreo Ruben (o Josafa, a seconda della versione del vangelo), intenzionato in origine a rovesciare il catafalco della Vergine defunta; le mani gli verranno poi riattaccate su ordine di Pietro. Domina la scena la Vergine adagiata su un bianco lenzuolo, mentre vicina alla Stessa, insieme ai santi apostoli (di alcuni dei quali si riconoscono le identità grazie alle iniziali dei nomi inclusi nei nimbi[9]), compaiono due figure apparentemente fuori contesto: potrebbero essere san Giacomo, vescovo di Gerusalemme e Hieroteus, vescovo di Atene, secondo un retaggio iconografie bizantine.
In realtà, nell’affresco preso in esame, compare la figura la figura pontificale, riconoscibile a personale avviso dalla tiara papale ancora conica, ma a 3 corone (quindi con un terminus post quem alla metà XIV secolo), identificabile probabilmente come san Pietro; sulla destra un’altra figura, probabilmente un vescovo, reca un aspersorio. In alto, il Cristo con alla sua sinistra l’eidolon, ovvero l’anima della Vergine.
A seguire, si staglia il pannello della santa Maria Maddalena, nella sua solita iconografia con il cofanetto di mirra (fig. 5).
Fig. 5 – Santa Maria Maddalena. Foto di Stefano Cortese.
Procedendo, in un riquadro sotto la scialbatura, si intravede san Paolo. Dietro l’altare, in una nicchia rettangolare incassata nella parete, sono ubicate scene della Passione: sulla parete di sinistra, è campito un Cristo che sale al calvario, mentre nella parete di fondo è presente la Crocefissione tra la Vergine e san Giovanni Evangelista (fig. 6).
Fig. 6 – affresco della Crocefissione (XVI secolo). Foto di Stefano Cortese.
Sullo sfondo, un paesaggio e una città turrita, mentre il soffitto è costellato da stelle dipinte ad otto punte[10]. La crocefissione, così come la Dormitio Virginis, risulta essere palinsesta: proprio nella porzione centrale risulta lampante un distacco della pellicola pittorica cinquecentesca e che svela la presenza di uno strato di pittura bizantina (XIII secolo?). Per scovare un’altra traccia di bizantinità, bisogna recarsi presso l’uscita posta a nord-est[11], dove sulla parete destra è posta una piccola figura campita su di un blocco, con nimbo perlinato: probabilmente è un Cristo Pantocratore (fig. 7). Il pessimo stato di conservazione non ci consente di avanzare ipotesi certe, ma la collocazione, l’accenno della croce dietro il nimbo e soprattutto il colore porpora dell’himation sembrano essere indizi di un certo peso.
Fig. 7 – Cristo Pantocratore (affresco del XIII secolo). Foto di Stefano Cortese.
Alcuni confronti e considerazioni finali
Alla luce delle attuali condizioni di conservazione della cripta, sarebbe ipotizzabile un utilizzo della cripta a funzione funeraria (e presumibilmente non monastica) a partire dal XIII secolo; non sarebbe peregrino immaginare la presenza di una tomba proprio dove si scorge quello strato di pittura bizantina sotto la Crocefissione.
Dopo la prima fase bizantina quindi, riconoscibile ad oggi da questi piccoli indizi, è evidente la fase databile alla seconda metà del ‘400, quando probabilmente fu posto lo stemma del Pendinelli[12] all’esterno e campita la prima Dormitio assieme altri frammenti pittorici, tra cui probabilmente un santo vescovo benedicente alla latina, riconoscibile sul muro nord e che trova confronti con il sant’Eligio emerso di recente nella matrice di Tiggiano e lo stesso santo nella cripta della Coelimanna di Supersano e della Madonna della Scalella a Gallipoli.
Altri frammenti pittorici sono sparsi, sotto le scialbature, nella cripte, ascrivibili in larga parte (almeno per quelli visibili), alle due campagne di decorazione cinquecentesche: con la prima metà del ‘500, una nuova frequentazione dell’invaso portò alla stesura di una nuova pellicola pittorica, a cui sono riferibili la grande maggioranza degli affreschi oggi visibili. I confronti maggiormente tangibili possiamo riscontrarli nella cappella di santa Caterina nella chiesa dei Francescani Neri, datata al 1525: qui sia nel ciclo agiografico, che nelle immagini votive in basso, possiamo evidenziare la presenza delle stesse figure e motivi decorativi[13], dovuti o all’utilizzo degli stessi cartoni, o alla presenza dello stesso frescante in entrambi i contesti (fig. 8).
Fig. 8 – Confronti tra la cripta del Gonfalone e la cappella di santa Caterina dei Francescani Neri (Specchia). Foto di Stefano Cortese.
Prima della fase del ‘600, palesato dall’altare con icona e da architetture esterne, è visibile una fase di fine ‘500, forse da datare con precisione agli anni ’80 del XVI secolo, vista l’iscrizione dipinta lungo il dromos di accesso, in prossimità di una corona. A questa fase potrebbe appartenere la ricca decorazione fitomorfa alle spalle dell’altare, in particolare dei fregi che separano diversi pannelli, tra cui uno che divide la scene di vita di un santo, da un santo vescovo (fig. 9); questi fregi trovano i parallelismi con la chiesa di san Domenico ad Andrano (1561), con la chiesa di san Niceta in Melendugno (1569), con l’ex cappella della Madonna del Rosario a Melissano (1575)[14], con la chiesa matrice di Corigliano (1576), col cantiere di Felline presso la Madonna dell’Alto (1577) e la cattedrale di Otranto, in particolare sant’Antonio Abate e alcuni affreschi della cripta.
Fig. 9 – Cripta del Gonfalone, motivo fitomorfo (fine XVI sec). Foto di Stefano Cortese.
Solo il restauro delle campiture potrà svelare maggiori informazioni al fine di contestualizzare quello che ad oggi appaiono labili tracce pittoriche quasi nascoste sotto le incrostazioni; quei brandelli di affreschi, ci fanno comprendere la devozioni della popolazione e nello stesso tempo la mole di informazioni alla quale potremmo andare incontro, al fine di riscrivere una storia che a tutt’oggi si manifesta in tutta la sua lacunosità.
Bibliografia e fonti archivistiche
- ACV, Archivio vescovile di Ugento, Relazioni ad limina. Alessano (riproduzioni)
- Accogli F., La cappella del Gonfalone (cap. I) in La cappella del Gonfalone e il casale di Sant’Eufemia in Tricase (a cura di F. Accogli), Edizioni dell’Iride, Tricase, 2004
- Arditi G., Corografia fisica e storica di terra d’Otranto, Lecce, 1879
- Cortese S., “Le scene e le didascalie”. La cappella di santa Caterina nella chiesa dei Francescani Neri di Specchia in Il paese nuovo, 27/05/2012
- Fonseca C. D., Gli insediamenti rupestri medievali nel basso Salento, Congedo, Galatina, 1979
- Musio S., La documentazione araldica in sant’Eufemia, in La cappella del Gonfalone e il casale di Sant’Eufemia in Tricase (a cura di F. Accogli), Edizioni dell’Iride, Tricase, 2004
- Tasselli L., Antichità di Leuca, Lecce, 1693
Note
[1] L. TASSELLI, Antichità di Leuca, 1693
[2] G. ARDITI, Corografia fisica e storica di terra d’Otranto, Lecce, 1879, p. 532
[3] ARCHIVIO DIOCESANO UGENTO, Alessano. Relazioni ad limina, f. 428, 1615
[4] F. ACCOGLI (a cura di), La cappella del Gonfalone e il casale di Sant’Eufemia in Tricase (a cura di F. Accogli), Edizioni dell’Iride, Tricase, 79
[5] Solo in data 6.11.1988 avvenne il passaggio alla diocesi di Ugento, cosi come ricorda l’epigrafe in piazza s. Eufemia
[6] F. ACCOGLI (a cura di), op. cit. p. 74
[7] Una delle più antiche attestazioni di tale iconografia in provincia è presso la cripta di santa Marina a Miggiano; altre dormitio basso medievali possono essere riscontrate nel castello di Acaya, nel santuario della Lizza ad Alezio, nell’abbazia di Cerrate e quella poco conosciuta nella chiesa di santa Maria di Miggiano a Muro Leccese.
[8] C. D. FONSECA e altri, Gli insediamenti rupestri medievali nel basso Salento, Congedo, Galatina, 1979, pp.189-193; F. ACCOGLI, op. cit. p. 39
[9] L’espediente è utilizzato soprattutto in alcune ultime cene della seconda metà del XIII secolo come in Casaranello e san Nicola di Celsorizzo ad Acquarica; in C. D. FONSECA, op. cit. pp. 189, sono riportate le iniziali FI(lippo?) e A(ndrea?).
[10] Il motivo della stella ad otto punte è visibile nelle cripte basso medievali (XIII-XIV secolo) del Crocefisso di Ugento, nella cripta di san Michele Arcangelo di Galatina e negli scudi campiti sul pilastro nella chiesa di santa Maria della Lizza ad Alezio.
[11] Esistono due accessi all’ambiente sotterraneo, uno dei quali reca l’ingresso lunettato, l’altro un arco ad ogiva interno.
[12] S. MUSIO, La documentazione araldica in sant’Eufemia, in La cappella del Gonfalone e il casale di Sant’Eufemia in Tricase (a cura di F. Accogli), Edizioni dell’Iride, Tricase, 2004, pp.115-124. Lo stemma è ubicato all’esterno; l’amico Salvatore Musio lo ha attribuito, in maniera convincente, al vescovo Stefano Pendinelli
[13] S. CORTESE, “Le scene e le didascalie”. La cappella di santa Caterina nella chiesa dei Francescani Neri di Specchia in Il paese nuovo, 27/05/2012. La figura di san Leonardo a Specchia, appare simile a quella di san Paolo a sant’Eufemia; il Cristo presente nella Dormitio appare simile al personaggio che trasporta la croce nella cappella di Specchia; altre analogie possono essere viste nel ciclo cateriniano dove una figura laterale è identica a quella presente nella scene della Passione a sant’Eufemia; anche il motivo della scacchiera risulta essere comune nei due contesti, così come il motivo decorativo delle vesti di santa Maria Maddalena e santa Barbara col san Marone di Specchia.
[14] La chiesetta, ritenuta scomparsa, è in realtà ubicata in aperta campagna e presenta il muro ovest nella sua originalità, con campiti una Vergine con Bambino e un sant’Antonio Abate, datati al 1575.
Contributo pubblicato su “Leucadia. Miscellanea Storica Salentina Giovanni Cingolani“, a cura della Società di Storia Patria della Puglia, sezione di Tricase, Anno IV Nuova Serie, 2012, Edizioni Grifo.
Per approfondimenti sulla storia del territorio: https://www.associazionearches.it/lucugnano-e-il-suo-territorio-storia-architetture-archeologia-e-paesaggio-di-un-paese-del-capo-di-leuca/