La “Macara” o “Masciara” salentina. Dal mito alla storia
di Nicola Febbraro e Anna Lucia Nicolì
La storia dell’uomo è costellata di miti, credenze, superstizioni, per mezzo delle quali ha cercato di darsi delle risposte ai suoi molteplici quesiti esistenziali, ai fenomeni naturali e di esorcizzare le paure racchiuse nei lati oscuri della sua complessa mente.
Dal mito alla storia…
Nel Salento i miti si sono spesso trasformati in storia e le superstizioni in fatti di cronaca realmente accaduti. Capitava spesso, infatti, di trascorrere delle ore nei pressi del focolare domestico dove, privi di qualunque distrazione tecnologica, ci si ingegnava per raccontare delle storie sempre in bilico fra leggenda e realtà. È in questi momenti, e non solo, che hanno preso vita, nome e corpo degli esseri sovrannaturali, muniti di spiriti non sempre, o quasi mai, positivi, che non pochi problemi hanno creato ai protagonisti della nostra civiltà contadina: “macare/striare” (maghe/i), “lauri”, “municeddhi”, “scazzamurreddhi”, “sciacuddhi” (folletti dispettosi). La figura più controversa, fra tutte quelle citate, è senza dubbio quella della “macara”.
Le “macare”, ossia le maghe e streghe salentine
Fig. 1. La strega (fonte).
Maghe o streghe, realmente esistite, che ricorrevano non di rado alla magia nera ma “capaci” anche di sciogliere ogni sorta di malocchio, fattura e sortilegio, che si credeva di aver ricevuto e/o di risolvere questioni sentimentali.
Il termine “macara” o “masciara”, il cui significato in italiano è “strega”, “donna brutta o malvestita” ma anche “ammaliatrice”, etimologicamente potrebbe derivare dalla parola latina “magica” (cose magiche) a cui è stato aggiunto il suffisso “-ara” proprio dei nomi di mestiere: donna che pratica le magie. Il termine può essere declinato anche al maschile: “macari”, col significato di stregoni, indovini o fattucchieri.
Le “macarìe” (magie) e le “fattucchiarìe” (fatture) erano pratiche molto diffuse nel nostro territorio sino a pochi decenni fa. “Macari e macare” erano interpellati anche per sciogliere dei malocchi e degli incantesimi; non di rado per fare innamorare un uomo o una donna, facendo bere, all’insaputa della vittima, anche il sangue di colui/e del quale si sarebbe dovuto/a innamorare. Preparavano dei filtri, pronunciavano delle formule magiche, realizzavano dei fantocci da trafiggere con spilli e spilloni, che rappresentavano le persone oggetto delle loro “macarìe”. Ai “macari” si chiedeva anche di scacciare gli “scazzamurreddhri” dalle case, che dagli stessi si ritenevano infestate.
Fig. 2. Strega della cucina (fonte).
Il sale e il fuoco erano due componenti fondamentali in tutti i riti. Il primo, versato nel secondo, scoppiettava e dava il là ad ogni sorta di “macaria”, colpendo l’immaginario dei clienti della maga, con l’ausilio di formule magiche recitate in “griko” (greco antico parlato nei paesi della Grecìa salentina) lingua ai più sconosciuta.
Vi erano poi le “macare” e i “macari” che nottetempo si trasformavano in gatti, maiali, cani o cavalli e che vagavano in lungo e in largo per il Salento e non solo (non di rado si riunivano con i loro colleghi/e beneventani), per poi tornare uomini e donne in carne ed ossa, con le prime luci dell’alba, portando però con loro i segni delle vicissitudini notturne vissute: ferite o contusioni varie procuratesi nelle sembianze animali.
Le “macare”, prima di morire, dovevano lasciare in eredità il loro potere da streghe, proveniente da uno spirito malefico, ai loro figli, parenti o pronipoti, pronunciando la frase: “a chi lascio il lascito mio…”, i quali potevano anche decidere di non accettarlo.
Incantesimi e sortilegi sono stati considerati dalla Chiesa, a partire dal periodo successivo al Concilio di Trento (inizi del XVII secolo), delle vere e proprie eresie e come tali da contrastare aspramente.
Soleto, la città dei maghi
Fig. 3. La guglia orsiniana di Soleto (fonte).
Soleto, patria del “mago dei maghi” Matteo Tafuri (1492-1584, figura tra le più affascinanti ed intriganti del panorama culturale tardo rinascimentale salentino) era la terra per eccellenza delle “macare” e dei “macari”. Vi ci si recavano da ogni angolo del Salento per risolvere, con la magia, ogni sorta di problema.
Sempre a Soleto, ma anche in altri paesi della Grecìa salentina, vi erano le sonnambule, ossia delle donne vestite con delle candide camicie da notte e possedute da spiriti maligni, che si alzavano nottetempo e che camminavano nel sonno e con gli occhi chiusi sui cornicioni delle case, su rivellini altissimi di antiche terrazze, senza cadere giù, tenendosi in equilibrio con le braccia aperte. In molti giuravano di averle viste per davvero.
Il primo di maggio, poi, all’alba, circa 500/600 streghe giungevano a Soleto in processione e qui ballavano e saltavano ininterrottamente per ore e ore.
Non di rado usavano delle bottiglie, che contenevano delle penne di gallina, con le quali si ungevano per trasformarsi in animali e recarsi poi a Benevento. E ancora spilloni, che usavano per pungere le povere vittime delle loro “macarie” o dei fantocci che le rappresentavano.
Fra i modi di dire salentini, legati al termine, vi sono: “Ma ci sinti, na macara?” (Ma che sei, un’indovina?); modo di dire usato quando una donna azzecca una previsione. Abbiamo inoltre “Varda che macara!” (Guarda quanto è brutta quella donna/ragazza!).
Per visionare il documentario “Ah Soleto quante storie“
Bibliografia relativa al fenomeno delle “macare” a Soleto:
Francesco Manni, “Macarìe soletane, elementi di magia colta e popolare nel substrato storico e antropologico di un chorion greco-salentino e nella bibliografia del mago di Soleto Matteo Tafuri“, autoprodotto, Roma 2020.