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Associazione Archès

La storia di Casarano attraverso le epigrafi

di Alessio Stefàno

in memoria del prof. Gino Pisanò

Premessa

Per lo storico e l’archeologo, incalliti “viaggiatori nel tempo” incaricati di scrivere la nostra storia, particolare importanza assumono i documenti epigrafici. Sin da quando l’uomo ha incominciato a padroneggiare la scrittura, infatti, ha prodotto iscrizioni d’ogni genere, incise, graffite, dipinte su materiali disparatissimi (marmo, pietra, bronzo, terracotta). Queste testimonianze rappresentano importanti fotografie del nostro passato, che ci parlano non solo di accadimenti storici ma anche di importanti aspetti socio-culturali. Accade così che è possibile ricostruire – almeno parzialmente – le vicende di una comunità, ma soprattutto scrivere una storia che «non veda storie per eccellenza e storie che non siano tali, né ammetta il primato di una storia delle strutture (economiche o socio- culturali che siano) rispetto ad una storia delle sovrastrutture o quello di una storia dello spirito (laica o religiosa, delle idee o dell’anima che sia) rispetto ad una storia degli oggetti su cui lo spirito si eleva e lavora» (GALASSO 1982, p. 6).

A questa storia, a lungo definita “minore” o “locale”, che a volte può apparire estranea al corso dei grandi eventi, ma che in fondo è solo parte della “grande” storia (e soprattutto è la nostra storia), si era già interessato il compianto professore Gino Pisanò. A lui va il merito di aver curato, tra le diverse pubblicazioni riguardanti la nostra città, la terza sezione del volume Iscrizioni latine del Salento. Vernole e frazioni, Maglie, Casarano (Galatina 1994), nel quale è raccolta una nutrita serie di testimonianze epigrafiche (anche scomparse) che vanno a costituire vere e proprie “istantanee” del passato della nostra città. Molte sono state qui riportate, altre sono state raccolte dal sottoscritto; proveremo qui a ripercorrere attraverso di esse le vicende della nostra comunità e dei suoi uomini.

Le origini: l’età Romana e Medievale

Proprio attraverso un’epigrafe possiamo, verosimilmente, scrivere l’inizio della storia di Casarano. Rinvenuta negli anni Settanta, reimpiegata già in antico all’interno del muro di un’abitazione (dove ancora oggi è conservata), si tratta di una piccola stele in pietra locale, con un frontoncino semilunato decorato da solcature concentriche. Ecco il testo:

D(IIS) M(ANIBUS)

MUSICUS MAXIMI NI

SER(VUS) V(IXIT)

A(NNIS) VII

H(IC) S(EPULTUS) E(ST)

LEVVIUS ET

CALE FILIO

PIISSIMO

B(ENE) M(ERENTI) P(OSUERUNT)

Agli Dei Mani Musico

servo di Massimino

visse anni sette

qui è sepolto

Levio e Cale

al piissimo figlio

che ben meritò posero

Questa lapide doveva segnalare, in origine, il luogo di sepoltura di un bambino di nome Musicus, figlio di un uomo ebreo (Levius) e di una donna greca (Cale), come dimostra chiaramente l’etimologia dei due nomi (PISANÒ, SCHIAVO 1985, p. 71; GRAZIUSO, PANARESE, PISANÒ 1994, pp. 103-104).

Il fanciullo ha un nome inusuale, tipicamente schiavile; lo stesso testo dell’epigrafe afferma esplicitamente che egli si trovava (sin dalla nascita) in condizioni servili nei confronti di un certo Massimino (“Maximini servus”). Siamo di fronte, dunque, a un documento di straordinaria importanza storica, che ci presenta la realtà del latifondo, ossia di una grande proprietà agricola, gestita solitamente da membri dell’aristocrazia romana attraverso un largo impiego della manodopera servile. Allo stesso tempo, l’epigrafe ci racconta di come il Salento fosse, già in età Romana, crocevia di popoli e culture provenienti da ogni parte del Mediterraneo. L’iscrizione – chiaramente pagana – è stata solitamente datata al I secolo d.C., ma con maggiore prudenza, in assenza di confronti puntuali, possiamo ascriverla ad un periodo piuttosto ampio, compreso tra il I e il III secolo d.C. (fig.1).

Fig. 1

Allo stesso periodo doveva appartenere l’epigrafe rinvenuta negli anni Settanta sotto il pavimento della chiesa di Santa Maria della Croce, durante i lavori di restauro, ormai da tempo perduta. Piuttosto frammentaria, secondo la ricostruzione del prof. Pisanò si tratterebbe di un’iscrizione funeraria menzionante la gens Vibuleia, attestata a Gallipoli su un’epigrafe del I secolo d.C. (PAGLIARA 1972, p. 77; PISANÒ, SCHIAVO 1985 p. 72).

Il monumento più importante di Casarano è sicuramente rappresentato dalla chiesa di Santa Maria della Croce o di Casaranello, oggetto in anni recenti di numerosi studi e pubblicazioni. All’interno della chiesa si conserva un palinsesto di affreschi, che coprono tutto il lungo e travagliato periodo del Medioevo. Al di sopra di alcuni di questi sono presenti delle iscrizioni dedicatorie e numerosi graffiti devozionali in lingua greca, spesso di difficile lettura. La più importante tra queste trova posto su un affresco dell’XI secolo, posto su uno dei pilastri interni e rappresentante la Vergine col Bambino (Theotokos). L’iscrizione, infatti, testimonia la riconsacrazione della chiesa alla presenza di un vescovo di Gallipoli (JACOB 1988).

Falsi storici: l’epigrafe di papa Tomacelli

Nella stessa chiesa di Casaranello è conservata, al di sopra della porta d’ingresso, un’epigrafe del 1717, la quale ha alimentato un mito a lungo creduto vero dai casaranesi (e non solo), circa la nascita di un papa – Bonifacio IX – nella nostra città (fig. 2).

 Fig. 2

Ecco il testo tradotto in italiano:

A Dio ottimo massimo O passeggero

fermati e ammira la grande bellezza di questo tempio qui

Bonifacio IX Tomacelli Sommo pontefice

Nato da genitori signori dell’uno e dell’altro Casarano Ricevette il Sacro Battesimo.

Questa chiesa dapprima venerò come madre, egli, che poi sulla terra fu vicario del sommo Dio.

Antonio Sanfelice Vescovo di Nardò

Ordinò di rinnovare il ricordo quasi perduto dell’ottimo pontefice

Che aveva acquisito meriti immortali nei confronti del mondo cattolico e della sua chiesa

Nell’anno di Cristo 1717

Recenti studi hanno permesso, in via definitiva, di far luce su questa figura, dimostrando che i Tomacelli possedettero il feudo di Casarano solo dopo il 1378, mentre Bonifacio IX nacque intorno al 1350, dunque sicuramente non venne battezzato in questi luoghi (SERIO 2020, pp. 119-143). Il Sanfelice, in effetti, con lo scopo di dar lustro alla diocesi di Nardò, presentandola come ricca di antichità e di uomini prestigiosi, impiantò «una vera e propria officina di falsi, mediante la creazione e la pubblicazione di numerosi apocrifi» (v. STEFÀNO 2018, pp. 11-28).

Gli antichi moniti delle dimore signorili

Sulla facciata di palazzo Valente, uno dei più belli e antichi del centro storico di Casarano, è riportata una breve epigrafe (figura 3): INVIDIA INVIDENTI NOCET 1572.

      Fig. 3

L’invidia nuoce all’invidioso”, ricorda il monito al visitatore. A partire da Cinquecento diventano molto comuni presso le dimore signorili epigrafi riportanti proverbi, moniti e massime latine. L’iscrizione di palazzo Valente, in particolare, trova confronto con un’iscrizione coeva conservata a Manduria sulla facciata di palazzo Dimitri e con una più tarda riportata sull’architrave di un’abitazione settecentesca di Locorotondo.

Un’altra epigrafe della stessa categoria era collocata su un edificio cinquecentesco adiacente alla Chiesa Madre, nella memoria popolare identificato come la casa natale di papa Bonifacio IX, e distrutto negli anni Sessanta. Come ci informa il prof. Pisanò, l’iscrizione fu salvata da un tal Guerino Toma, che dopo averla recuperata dalle macerie la conservò nel suo villino di campagna (GRAZIUSO, PANARESE, PISANÒ 1994, p. 109). Il testo recita:

VOX MISSA NESCIT REVERTI.

La voce, una volta uscita, non sa tornare indietro” è la traduzione di questa massima, la quale avvisa che, in alcuni casi, cui ci si accorge troppo tardi di aver detto qualcosa di sconveniente. Questa volta la fonte è rappresentata dalla letteratura latina classica, in particolare dal poeta Orazio (Ars poetica, 390).

Le epigrafi possono occupare non solo l’esterno ma anche l’interno delle residenze signorili.

FORTUNA FACIET P(rospera) AD 1812. L’iscrizione, anche questa raccolta dal Pisanò, risulta affrescata sulla volta di casa Martina Toma, un tempo appartenente all’importane famiglia D’Elia di Casarano. Essa vuol mettere in evidenza il peso della fortuna nella vita umana e, soprattutto, nel gioco delle carte, col quale i D’Elia spesso si intrattenevano con i propri amici all’interno di questa abitazione. Nel giardino dello stesso fabbricato, un’iscrizione (oggi mutila) spiega, infatti, la destinazione di questo luogo:

HYACINTHUS DE ELIA

PATRICIUS CALLIPOLITANUS

SIBI POSTERISQUE SUIS

CURARUM LEVAMENTO AMICIS HOSPITIO

SUBURBANUM AB INCHOATO EXTRUXIT

TAMDIU SE VIXISSE EXTIMANS

QUAMDIU [POTUISSET]

PARUMPER AURES [SECUNDAS PRAEBERE CETERIS]

A.D. M[—]

Il testo in italiano recita: «Giacinto D’Elia, patrizio gallipolino, costruì dalle fondamenta questa villetta suburbana per sé e per i suoi discendenti al fine di alleviarne gli affanni, per gli amici al fine di ospitarli, stimando che tanto sarebbe vissuto fino a quando avesse potuto per un po’ ancora accogliere generosamente gli altri. Nell’anno del Signore 1[812]» (l’epigrafe, mutila, riporta solo la prima cifra dell’anno, ma è verosimile che sia coeva alla precedente).

L’iscrizione evidenzia il valore dell’amicizia e dell’ospitalità, doti evidentemente possedute dalla famiglia di don Giacinto D’Elia (1750-1826) (GRAZIUSO, PANARESE, PISANÒ 1994, pp. 115-116). La casa passò poi alla famiglia Lupo e, infine, alla famiglia Martina Toma. Probabilmente, nella stessa casa, nacque Adele Lupo, poetessa casaranese vissuta a cavallo tra Ottocento e Novecento (IVI, pp. 116-117; su Adele Lupo si veda MARRELLA, SCORRANO 2001).

Tra le famiglie importanti di Casarano un posto particolare è senza dubbio occupato dai Nuccio, il cui don Pompeo intratteneva stretti rapporti di amicizia col poeta vate Gabriele D’Annunzio e con il Re Vittorio Emanuele III. Sulla porta d’ingresso del loro palazzo è scritto:

HUC ADES: EXCIPIES SOLACIA ARTIS ET MUNERA AMICITIAE

ossia: “Vieni qui: troverai i conforti dell’arte e i valori dell’amicizia” (GRAZIUSO, PANARESE, PISANÒ 1994, p. 119).

Ma i nobili e i feudatari di Casarano non fecero solo costruire ex novo palazzi urbani e suburbani; spesso restaurarono anche antiche masserie, trasformandole in casini di campagna, patria dell’otium e della contemplazione della natura. Così fece Matteo D’Aquino, prete massone di Casarano, come ancora oggi ci ricorda l’epigrafe sulla sua facciata di Casino Cammire:

POMARIUM HOC

AB IMPIA RECTORUM OSCITANTIA

PAENE DELETUM

MATTHAEUS DE AQUINO

E CASARANENSIUM DYNASTIS

RESTAURAVIT

ET IN NITIDIOREM FORMAM

REDEGIT MDCCLXXXIX

L’epigrafe è traducibile come segue: «Questo pomario, quasi distrutto dall’ampia indolenza dei suoi amministratori, Matteo D’Aquino dei feudatari di Casarano, restaurò e ridusse a più decoroso aspetto nel 1789» (IVI, p. 113; su Matteo D’Aquino si veda PISANÒ 1993).

Tra le epigrafi un tempo adornanti luoghi di campagna è da ricordare anche quella, piuttosto frammentaria, rivenuta come materiale di riempimento all’interno di un muro di confine presso Masseria Palla e oggi qui conservata. L’iscrizione, databile tra il XVI e il XVIII secolo, è stata ricostruita dal sottoscritto e riporta un versetto del libro del profeta Isaia:

[DIVITI]Æ SALUTIS

[SAPIEN]TIA ET SCIENTIA

[TIMO]R DOMINI

[ISPE] TESAURUS [EIUS]

[ISAIAH X]XXIII

Ricchezze salutari

sono sapienza e scienza

Il timore di Dio è il suo tesoro

Isaia 33

Fig. 4

Le epigrafi religiose

Nobili e feudatari di Casarano non si occuparono solo dei loro palazzi e delle loro dimore di campagna, ma versarono il loro impegno economico anche nella realizzazione di edifici religiosi. Lungo la facciata della chiesa di San Domenico di legge:

AQUINATES LEONES FORTES DEI CULTO AQUINO SOLI SACRUM EREXERE DELUBRUM 1676

Ossia: “I leoni aquinati, forti nel culto di Dio, questo sacro tempio all’astro d’Aquino nel 1676”. I D’Aquino, detti leoni perché sul loro stemma campeggiano, appunto, i leoni, completarono la costruzione dell’edificio, dedicato all’«astro di Dio», San Tommaso D’Aquino (GRAZIUSO, PANARESE, PISANÒ 1994, p. 121).

Grazie alla carità dei cittadini, invece, fu portata a termine l’attuale chiesa Matrice:

D.O.M. CONCIVIUM CHARITAS

TRES FRUCTUS VIGESIMANS OPUS

TRESDECIM AB HINC ANNIS INCEPTUM

PERFECIT ANNO MDCCXII

    Fig. 5

I cittadini, infatti, offrirono la ventesima parte di tre prodotti della terra, affinché, dopo tredici anni, venisse completata la costruzione del sacro Tempio, terminata nel 1712 (IVI, p. 123).

Su iniziativa di un altro privato, invece, venne eretta la chiesa di San Pietro, come ci ricorda la consunta epigrafe su un medaglione di pietra leccese sovrastante il portale:

D.O.M.

AC DIVO PETRO

PETRUS CALBANO

EREXIT H.S.

A.D. 1702

Fig. 6

La chiesa, infatti, venne eretta per volontà di Pietro Calbano nel 1702, in onore del santo del quale portava il nome (IVI, p. 122).

Grazie all’intervento di Matteo D’Aquino, priore («amato per il suo lignaggio non meno che per la sua pietà»), ma anche di tutti i confratelli, invece, nel 1751 venne ampliata ed abbellita la chiesa dell’Immacolata, sede dell’omonima confraternita fondata nel 1619 da Giovan Battista Filomarino (IVI, pp. 128-129):

D.O.M. TEMPLUM HOCCE

PROTOPLASTORUM LABE IMMUNI

DICATUM

QUOD NE ARCTUM PIO SODALIUM CONSURSU

FORET

MATTÆUS DAQUINO PRÆFECTUS

CASARANENSIUM DUNA[STARUM]

NON MINUS GENERE QUAM PIETATE

ACCEPTUS PROPRIO SODALIUM

AC SODALITATIS ÆRE

AMPLIANDUM ET EXORNANDUM

CURAVIT

REPARATÆSALUTIS

ANNO MDCCLI

Il calvario adiacente alla chiesa venne realizzato, invece, tra il 1913 e il 1918 dalla baronessa Olimpia Passero, come ci ricorda l’epigrafe bronzea collocata sul cancello. Donna particolarmente pia e devota, ella si occupò della realizzazione di molte opere religiose nella città, tra le quali lo splendido cappellone del Santissimo Sacramento nella Chiesa Matrice, come ci ricorda, anche qui, un’epigrafe del 1910.

Nella chiesa Matrice e nelle altre chiese della città molte altre epigrafi, spesso poste sugli altari, ci raccontano le vicende di questo luogo e, soprattutto delle famiglie più importanti, i cui illustri benefattori spesso commissionavano restauri e nuove realizzazioni artistiche e architettoniche (cfr. SORRONE 2013).

Epigrafi pubbliche e memoriali

Sin dall’età Romana e fino a tutta l’età Moderna, le epigrafi servono anche a commemorare eventi di rilevanza politica e comunitaria, come la fondazione di edifici pubblici e monumenti. È il caso della torre dell’orologio, collocata su uno dei lati brevi della piazza cittadina. Qui l’epigrafe, posta in un medaglione sovrastante lo stemma cittadino, recita:

D.O.M.

H[O]ROLOGIUM

HOCCE FUIT

ÆDIFICATU[M]

TEMP[OR]E

SINDACATUS

U.I.D.D. ORONTII FERILLI

A.H.S. 1790

Fig. 7

L’iscrizione ci informa che il campanile venne edificato nel tempo in cui era sindaco Oronzo Ferilli, “dottore dell’uno e dell’altro diritto”, ossia quello civile e quello canonico (come ci ricorda l’abbreviazione U.I.D.D.), nell’anno dell’umana salvezza 1790 (IVI, p. 114) (figura 7).

Ma le epigrafi a carattere pubblico e politico possono anche essere non “ufficiali”, un po’ come accade al giorno d’oggi con i graffiti sui muri. È il caso delle iscrizioni dipinte, rinvenute nel 2015, che recitano ABBASSO IL PAPA RE e VIVA VITTORIO EMANUELE IN CAMPIDOGLIO, sul fronte di

palazzo Arditi. Databili tra il 1860 e il 1870/71, raccontano il tormentoso periodo politico conseguente all’unificazione della Penisola (la cosiddetta Questione Romana). Le iscrizioni sono state recentemente oggetto di restauri, grazie al progetto “Tracce di storia”, ideato da Marco Mazzeo e messo in atto con la collaborazione di diversi enti locali (figura 8).

   Fig. 8

Tra le iscrizioni a carattere politico rientra anche una lapide a lungo dimenticata, rinvenuta in un’aiuola circolare nel piazzale antistante il cimitero di Casarano. L’epigrafe recita:

IN MEMORIA DI ARNALDO MUSSOLINI

Arnaldo Mussolini, fratello del Duce scomparso improvvisamente nel 1931, fu giornalista, insegnante e politico italiano. L’interesse per la natura lo indusse a dedicarsi all’organizzazione dell’agricoltura, alla rinascita boschiva, alle attività di bonifica, diventando il primo presidente del Comitato Nazionale Forestale. Il 27 novembre 1928 gli fu conferita la laurea honoris causa in scienze agrarie. Dopo la sua scomparsa, il Comando delle Legioni della Milizia Nazionale Forestale diede disposizioni affinché venisse organizzata, in ciascun Comune del regno d’Italia, un’apposita cerimonia che prevedeva la piantumazione di un albero in memoria del fratello del Duce.

A Casarano venne piantato un albero di pino in un’aiuola al di fuori del cimitero, corredato dall’epigrafe dedicatoria. La lapide venne poi occultata nel 1943, dopo la caduta del Regime. Questa, infatti, come molti altri documenti ed opere pubbliche del Ventennio, fu condannata alla damnatio memoriae. Si può notare come l’iscrizione risulti scalfita, nonché mutila nella parte sinistra, dove forse era applicato un fascio littorio (o una foto del fratello del duce). Anche il pino piantumato nell’aiuola venne in seguito tagliato, per poi essere dopo molto tempo sostituito da un nuovo albero.

L’epigrafe, oggi nuovamente al suo posto, è di grande importanza, poiché rappresenta il «simbolo di un’epoca che, seppur con le sue ombre, ha segnato in maniera importante anche la piccola storia della nostra città che, attraverso una testimonianza come questa, diventa parte della grande Storia» (CASARANO 2008) (figura 9).

Fig. 9

Tra le epigrafi memoriali è sicuramente da ricordare quella di Gaetano Romano, poeta e massone nato a Casarano nel 1883, tragicamente scomparso nel 1910 durante un incidente sul convoglio ferroviario postale Foggia-Lecce presso il quale prestava servizio. Di lui si ricordano, in particolare, la composizione del testo dell’Inno al Venerdì Santo (poi musicato da Ernesto Romano) e la poesia in vernacolo “Susu lu munte de la Campana” (v. VALENTINO 1998, FRACASSO 1994/95). Dopo il tragico avvenimento, l’amministrazione comunale del tempo, con a capo il sindaco don Domenico De Donatis, pose una lapide in piazza Garibaldi (figura 10).

Fig. 10

L’ultimo addio

Sin da tempi remoti è in uso nella nostra civiltà l’incisione di epitaffi, ossia di iscrizioni sepolcrali aventi come scopo quello di onorare e ricordare un defunto. Se, passeggiando nei nostri cimiteri, ci apprestassimo ad osservare con attenzione, noteremmo numerose lapidi ormai spostate dai luoghi di originaria sepoltura e spesso accatastate negli angoli, consunte dalle intemperie. I loro morti aspettano ormai in silenzio di essere consegnati all’oblio.

Una di queste, fra tutte, mi ha sempre colpito molto. Si tratta di un segnacolo in pietra leccese, annerito di muschi e licheni; una corona di fiori scolpita circonda il nome, ormai quasi illeggibile, della defunta (che qui ometteremo). In basso, sulla base del segnacolo, è inciso il commovente epitaffio:

MOGLIE ESEMPLARE DI RARE VIRTU’ DOMESTICHE IL MARITO ED I FIGLI

DESOLATISSIMI INVITANO TUTTI ALLA PREGHIERA. MORTA 8 OTTOBRE 1918.

Fig. 10

Non faremmo fatica a immaginare (anzi, ne troveremmo ulteriore conferma nei documenti d’archivio) che questa giovane donna (di appena 33 anni, secondo i documenti d’archivio) sia stata strappata all’affetto dei suoi cari dall’epidemia di influenza Spagnola che falcidiò la popolazione mondiale tra il 1918 e il 1919, mietendo numerose vittime anche nel Salento, soprattutto tra i giovani adulti. A Casarano fu addirittura necessario un registro supplementare degli atti di morte, come dimostrano i documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Lecce (Stato civile italiano › Casarano › Morti › 1918 › 3227, suppl. 2).

Ma molte altre tombe dimenticate possono raccontare delle storie. Spesso sono storie di vite semplici, di famiglie umili di artigiani e contadini. E sono storie che stanno per essere definitivamente dimenticate. Ma c’è un dovere della memoria che ci impone di lottare contro l’oblio.

Conclusioni

Il presente articolo vuol essere un omaggio al professore Gino Pisanò, letterato, umanista e intellettuale raffinato, scomparso quasi otto anni fa. A lui va il merito di aver raccontato, prima di tutti, la storia di questa città. Molte delle epigrafi qui riportate (anche quelle oggi perdute) sono state da lui raccolte in una pubblicazione, citata in bibliografia. Concludo con un’epigrafe, che egli stesso fece realizzare ed apporre all’ingresso della sua casa in campagna e che riporta anche nel suo libro: HIC CONSISTO AC MORUM MECO, “Qui mi fermo e mi intrattengo con me stesso”.

Note

Per la lettura delle epigrafi si ricorda che, secondo la consuetudine dettata dal sistema Panciera- Krummrey, le abbreviazioni si sciolgono tra parentesi tonde ( ), mentre tra parentesi quadre [ ] si riportano le integrazioni delle lacune nel testo.

Si ringrazia la signora Adriana De Lorenzis per aver permesso la documentazione e studio dell’epigrafe conservata presso Masseria Palla.

Bibliografia

CASARANO Antonio, Una lapide dedicata ad Arnaldo Mussolini (intervista al prof. L. Marrella), «Lo Scirocco», n. 2, 2008, (22).

FRACASSO Concetta, Gaetano Romano poeta casaranese di fine Ottocento, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Lecce, 1994/95.

GALASSO Giuseppe, L’altra Europa. Per un’antropologia storica del Mezzogiorno d’Italia, Mondadori, Milano 1982.

GRAZIUSO Luciano, PANARESE Emilio, PISANÒ Gino, Iscrizioni latine del Salento. Vernole e frazioni, Maglie, Casarano, Congedo, Galatina 1994.

JACOB Andrè, La consécration de Santa Maria della Croce à Casaranello et l’ancien diocèse de Gallipoli, «Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici», 25, 1988 (147-163).

Marrella Luigi, Scorrano Luigi, Un inno ed un sospiro. Adele Lupo di Casarano, Barbieri, Manduria 2001.

PAGLIARA Cosimo, Note di epigrafia salentina, III, in Annali dell’Università di Lecce, Galatina 1973.

PISANÒ Gino, SCHIAVO Mino, Casarano e Wierich De Daun in una pergamena del 1717, Congedo, Galatina, 1985.

PISANÒ Gino, La villa suburbana di Matteo D’Aquino. Un prete massone del ‘700 a Casarano, «Presenza taurisanese», Maggio 1993 (6-7).

PISANÒ Gino, Iscrizioni latine del Salento. Vernole e frazioni, Maglie, Casarano, Congedo, Galatina 1994.

SERIO Antonio Sebastiano, Casarano nel Basso Medioevo, Barbieri, Manduria 2020.

SORRONE Maura, La chiesa madre di Casarano: nuove ipotesi e brevi annotazioni, «Il delfino e la mezzaluna. Studi della Fondazione Terra d’Otranto», Anno 2, n. 2, 2013 (disponibile online su: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/11/03/la-chiesa-madre-di-casarano-nuove-ipotesi-e- brevi-annotazioni/).

STEFÀNO Leo, S. Maria della Croce (Casaranello). Oltre un secolo di studi su un monumento paleocristiano del Salento, Grifo, Lecce, 2018.

VALENTINO Paolo, Canti a vint’anni, Casarano 1998.

Su Gaetano Romano: http://www.carusa.it/Personaggi/2276

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