VITO RUSSO, SCULTORE E PITTORE SALVESE. LA BELLEZZA, LA SEMPLICITÀ E L’ARMONIA D’INSIEME NELLA SUA FILOSOFIA ARTISTICA.
Marco Cavalera, Sandra Sammali
Vito Russo, scultore e pittore salvese, ci accoglie nella sua casa – atelier in un freddo e piovoso pomeriggio di metà autunno, circondati da statue e sculture di ogni forma e materia che esprimono la filosofia intrinseca del suo pensiero artistico. Ci sediamo intorno ad un grande tavolo pieno di appunti e bozze di disegno per opere che un giorno, da un foglio bianco di quaderno, prenderanno vita, e tra un caffè caldo e un aneddoto (molto suggestivo quello del suo incontro con il grande poeta salernitano Alfonso Gatto) passa in rassegna tutta la sua storia artistica, a partire dal 1966, quando divenne titolare della cattedra di scultura presso l’Istituto d’Arte di Lecce.
“L’arte non avrà mai fine finché l’uomo, incontrando i materiali che gli stanno intorno, o creandosene di nuovi, saprà trasmettere loro, con la sua manualità, le forme del proprio pensiero”, esordisce Russo sfogliando le pagine segnate dal tempo di un album di ricordi.
Fin dalle prime battute dell’intervista si percepisce subito l’essenza delle forme di pensiero che l’artista esprime attraverso l’arte figurativa: bellezza, semplicità, accordi di linee e armonia d’insieme.
La scultura e la pittura rappresentano il suo linguaggio privilegiato perché “l’arte non conosce confini, né lingue. La pittura o la scultura sono linguaggi accessibili in qualsiasi modo o in qualsiasi situazione”. Non è l’arte fine a se stessa, riservata ai soli “intenditori”, ma quella socialmente utile, che sa comunicare e riprendere “i simboli dei linguaggi universali e con essi supera i limiti dell’incomprensione”.
L’arte di Vito Russo comunica la bellezza della linea, del simbolismo, della materia e della natura. “La scultura non è tutta opera mia, prima c’è quello che ha realizzato la natura, la pietra, io la metto solo in evidenza”. Per l’artista salvese scolpire è dare forma alla bellezza più intima della materia, una bellezza che lui riesce a intuire e ad intravedere aldilà dell’apparenza. Oltre ai materiali nobili quali il marmo e il bronzo, l’artista ama molto impiegare la pietra locale, ma non solo la pietra leccese o il carparo. “Quando ero piccolo e andavo in campagna con mio padre, mi portavo a casa delle pietre che dall’esterno non comunicavano nulla, potevano anche sembrare brutte. Ma le pietre, sono come le persone. Ognuna ha dentro di sé qualcosa di buono, basta conoscerla e scoprirla. Così ogni “pietra di scarto” (cit. don Tonino Bello) ogni frammento ha una bellezza nascosta e accarezzandola, levigandola si apre e ci mostra il suo lato più intimo e celato”.
Russo afferma che “in ogni materia che incontri ci sono infinite forme, tante quanto la mente ne sa creare e quanto le mani ne sanno trovare”. La pietra si racconta e ci racconta, è un palinsesto di segni e tracce che testimonia la “storia della nostra terra”.
Questo è il messaggio che veicola l’altare in pietra locale che presto verrà posizionato nella Chiesa di Pescoluse. Vito Russo non ha voluto il marmo, ma ha scelto un masso che era stato asportato proprio durante la realizzazione delle fondamenta della Chiesa. Ogni elemento, anche la pietra, riprende armonicamente il suo posto.
Il forte legame con il suo territorio affiora anche nei ricordi, quando ci narra che già da bambino “amavo molto il contatto con la terra, camminavo scalzo sulle strade non ancora asfaltate, sentendo il fresco piacere delle piccole pietre che mi capitavano sotto ai piedi”. I piedi scalzi sono un filo rosso nelle sue opere, espressione di questo simbolismo, dell’uomo a contatto con il suo mondo.
L’arte di Russo è continua ricerca e sperimentazione, senza mai perdere di vista la tradizione, prediligendo la materia che affiora copiosamente e generosamente dalle viscere della sua Terra.
E l’originalità della sua ricerca artistica è stata riconosciuta anche dal critico di fama nazionale Vittorio Sgarbi, che definì “valorosa figura del devoto sofferente di insolito – ai tempi nostri – vigore plastico” una pregevole statua di marmo, dedicata a Padre Pio e realizzata per una piazza di Andria.
Non solo la pietra, anche il legno (soprattutto ulivo, ovviamente) e la terracotta sotto le sue mani prendono forma e si arricchiscono di “suggestioni e pulsioni”. E non solo il freddo del marmo, ma anche quello del ghiaccio. Nel 1997 Vito Russo ha dato prova di essere un artista a tutto tondo quando, insieme al figlio Dario il suo ex- allievo Giovanni Scupola, ha partecipato al concorso nazionale di scultura su neve “Art in Ice” a Livigno (SO), vincendo il primo premio con la scultura “L’artista e la Musa” che raffigurava, da un lato, il volto di Michelangelo, simbolo dell’arte e della scultura, dall’altro una donna con gli occhi chiusi, identificata con la musa ispiratrice.
L’anno successivo i tre salentini rappresentarono l’Italia alle Olimpiadi Invernali di Nagano, in Giappone, vincendo la medaglia d’argento. L’opera d’arte forgiata dal ghiaccio era una “figura misteriosa e silente, che si raccoglie in un accordo concentrico di linee curve partono dalla spirale in cui è raccolta la coda. Proprio nella coda è il richiamo ad una creatura costretta in una condizione, come la lumaca nel suo guscio, a sirena è nell’acqua la neve nei gradi di temperatura che ne determinano l’esistenza. Il volto sognante e silenzioso come il cadere della neve che si tramuterà in acqua. La durata di un’immagine come la durata di un sogno, di un’esistenza, come la vita, perché è vero la vita è sogno e come un sogno svanisce e nei ricordi rivivrà forse ancora più bella”.
La vita svanisce, ma l’arte no. L’arte è un monumentum aere perennius, scriveva Orazio. Le opere sono un prolungamento dell’artista dal quale si distaccano senza dolore, senza dispiacere, perché ciò che lo appaga è viverle mentre la materia si plasma nella forma del pensiero che continuerà a viaggiare nel tempo.
Ogni grande opera d’arte ha due facce, una per il proprio tempo e una per il futuro, per l’eternità.
(Daniel Barenboim)
BIOGRAFIA
Vito Russo, nato a Salve (LE) il 21 agosto del 1948, evidenzia sin da bambino una grande passione per il disegno. A dodici anni frequenta il corso di pittura presso l’Istituto Statale d’Arte di Lecce. Due anni dopo cambia sezione e frequenta il corso di scultura. Si diploma nel 1966 a diciotto anni. Nel dicembre dello stesso anno viene assunto, come insegnante di scultura, nella stessa scuola dove aveva appena conseguito il diploma, incarico che ricoprirà fino al 2008.
Espone la sua prima personale presso la società Operaia di Lecce, ottenendo grande successo. Intanto frequenta l’Accademia di Belle Arti di Lecce, dividendosi tra studio, attività artistica ed insegnamento; consegue il diploma nel 1973. Partecipa a varie esposizioni nel Salento e in varie città italiane ed europee.
Articolo pubblicato sulla rivista “Progetto Salento”, n. 22, dicembre 2011, pp. 32-33.